Teoria ed
azione
Il programma rivoluzionario immediato
( Riunione di forlì, 28 dicembre 1952 )
( Dall’opuscolo «Sul
Filo del Tempo - Contributi alla organica ripresentazione storica della teoria
rivoluzionaria marxista», N° 1, maggio 1953 )
Sommario:
I. Teoria
ed azione
II. Il Programma Rivoluzionario Immediato
I. Teoria ed azione
1. Data la situazione
presente di decadimento al minimo dell’energia rivoluzionaria, compito pratico
è quello di esaminare il corso storico di tutta la lotta, ed è errore il
definirlo lavoro di tipo letterario o intellettuale contrapponendolo a non si
sa quale discesa nel vivo dell’azione delle masse.
2. Quanti convengono nel
nostro giudizio critico che l’attuale politica degli stalinisti è del tutto
anticlassista e antirivoluzionaria, constatando la bancarotta della III
Internazionale più grave di quella della II nel 1914, devono scegliere tra due
posizioni: deve forse cadere qualcosa che era comune a noi e alla piattaforma
di costituzione del Comintern, a Lenin, ai bolscevichi, ai vincitori di
Ottobre? No, noi affermiamo, deve solo cadere quanto la Sinistra fino da allora
ebbe a combattere, e restare in piedi tutto quanto i russi hanno dopo tradito.
3. Il grave errore di
manovra nel primo dopoguerra, innanzi alla esitazione del moto rivoluzionario
in Occidente, si riassume nei vari tentativi di forzare la situazione verso la
fase di insurrezione e dittatura sfruttando risorse di forma legalitaria,
democratica e operaistica. Questo errore largamente perpetrato nel preteso seno
della classe operaia, sulla frangia di contatto coi socialtraditori della II
Internazionale, doveva svilupparsi in una nuova collaborazione di classe
sociale e politica, nazionale e mondiale, con le forze capitalistiche, e nel
nuovo opportunismo e tradimento.
4. Per volere guadagnare
al partito internazionale robustamente piantato su ribadita teoria e
organizzazione una più vasta influenza, si è regalata influenza ai traditori e
nemici, e si è rimasti senza la sognata maggioranza e senza il solido nucleo
storico del partito di allora. La lezione è di non fare più la stessa manovra o
seguire lo stesso metodo. Non è poca.
5. Vana fu l’attesa di
una situazione nel 1946, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, tanto fertile
quanto quella del 1918, per la maggior gravità della degenerazione
controrivoluzionaria, l’assenza di nuclei forti capaci di restare fuori dal
blocco di guerra militare politico e partigiano, la diversa politica di
occupazione poliziesca sui paesi vinti. La situazione 1946 era palesemente
tanto sfavorevole quanto quelle successive a grandi disfatte della Lega dei
Comunisti e della I Internazionale: 1849 e 1871.
6. Non essendo dunque
pensabili ritorni bruschi delle masse ad una organizzazione utile di attacco
rivoluzionario, il miglior risultato che il prossimo tempo può dare è la
riproposizione dei veri scopi e rivendicazioni proletari e comunisti, e il
ribadimento della lezione che è disfattismo ogni improvvisazione tattica che muti
di situazione in situazione pretendendo sfruttare dati inattesi di esse.
7. Allo stupido
attualismo-attivismo che adatta gesti e mosse ai dati immediati di oggi, vero
esistenzialismo di partito, va sostituita la ricostruzione del solido ponte che
lega il passato al futuro e le cui grandi linee il partito detta a sé stesso
una volta per sempre, vietando a gregari ma soprattutto a capi la tendenziosa
ricerca e scoperta di «vie nuove».
8. Questo andazzo,
soprattutto quando diffama e diserta il lavoro dottrinale e la restaurazione
teoretica, necessaria oggi come lo fu per Lenin al 1914-18, assumendo che l’azione
e la lotta sono tutto, ricade nella distruzione della dialettica e del
determinismo marxista per sostituire alla immensa ricerca storica dei rari momenti
e punti cruciali su cui fare leva, uno scapigliato volontarismo che è poi il
peggiore e crasso adattamento allo statu quo e alle sue immediate misere
prospettive.
9. Tutta questa
metodologia di praticoni è facile ridurla non a nuove forme di originale metodo
politico ma alla scimmiottatura di antiche posizioni antimarxiste, e alla
maniera idealista, crociana, di concepire la vicenda storica come evento
imprevedibile da leggi scientifiche e che «ha sempre ragione» nella sua
ribellione a regole e a previsioni di rotta per la umana società.
10. Va dunque messa in
primo piano la ripresentazione, con riprova nei nostri classici testi di
partito, della visione marxista integrale della storia e del suo procedere,
delle rivoluzioni che si sono succedute finora, dei caratteri di quella che si
prepara e che vedrà il proletariato moderno rovesciare il capitalismo e attuare
forme sociali nuove: ripresentarne le essenziali originali rivendicazioni quali
nella loro grandezza ed imponenza sono da un secolo almeno, liquidando le
banalità con cui le sostituiscono anche molti che nella gora stalinista non
sono, spacciando per comunismo richieste borghesoidi popolari e adatte al
demagogico successo.
11. Un tale lavoro è
lungo e difficile, assorbe anni ed anni, e d’altra parte il rapporto di forze
della situazione mondiale non può capovolgersi prima di decenni. Quindi ogni
stupido e falsamente rivoluzionario spirito di rapida avventura va rimosso e
disprezzato, in quanto è proprio di chi non sa resistere sulla posizione
rivoluzionaria, e come in tanti esempi della storia delle deviazioni abbandona
la grande strada per i vicoli equivoci del successo a breve scadenza.
II. Il programma rivoluzionario
immediato
1. Col gigantesco movimento
di ripresa dell’altro dopoguerra, potente alla scala mondiale, e in Italia
costituito nel solido partito del 1921, fu chiaro il punto che il postulato
urgente è prendere il potere politico e che il proletariato non lo prende per
via legale ma con l’azione armata, che la migliore occasione sorge dalla
sconfitta militare del proprio paese, e che la forma politica successiva alla
vittoria è la dittatura del proletariato. La trasformazione economica sociale è
compito successivo, di cui la dittatura pone la condizione prima.
2. Il Manifesto dei
Comunisti chiarì che le successive misure sociali che si rendono possibili
o che si provocano «dispoticamente» sono diverse - essendo la via al pieno
comunismo lunghissima - a seconda del grado di sviluppo delle forze produttive
del paese in cui il proletariato ha vinto, e della rapidità di estensione di
tale vittoria ad altri paesi. Indicò quelle adatte allora, nel 1848, per i più
progrediti paesi europei, e ribadì che quello non era il programma del
socialismo integrale, ma un gruppo di misure che qualificò: transitorie,
immediate, variabili, ed essenzialmente «contraddittorie».
3. Successivamente, e fu
uno degli elementi che ingannò i fautori di una teoria non stabile, ma di
continuo rielaborata da risultati storici, molte misure allora dettate alla
rivoluzione proletaria furono prese dalla borghesia stessa in questo o quel
paese; esempi: istruzione obbligatoria, banca di stato, ecc.
Ciò non doveva
autorizzare a credere che fossero mutate le precise leggi e previsioni sul
trapasso dal modo capitalista a quello socialista di produzione con tutte le
forme economiche, sociali e politiche, ma significava solo che diveniva diverso
e più agevole il primo periodo postrivoluzionario: economia di transizione al
socialismo, precedente il successivo del socialismo inferiore e l’ultimo del
socialismo superiore o comunismo integrale.
4. L’opportunismo
classico consistette nel far credere che tutte quelle misure, dalla più bassa
alla più alta, le potesse applicare lo Stato borghese democratico sotto la
pressione o addirittura la legale conquista del proletariato. Ma in tal caso
quelle varie «misure», se compatibili col modo capitalista di produzione,
sarebbero state adottate nell’interesse della continuazione del capitalismo e
per il rinvio della sua caduta, se incompatibili non sarebbero state mai
attuate dallo Stato.
5. L’opportunismo
attuale, colla formula della democrazia popolare e progressiva, nei quadri
della costituzione parlamentare, ha un compito storico diverso e peggiore. Non
solo illude il proletariato che alcune delle misure sue proprie possano essere
attirate nel compito di uno Stato interclassista e interpartitico (ossia,
quanto i socialdemocratici di ieri, fa il disfattismo della dittatura) ma
addirittura conduce le masse inquadrate a lottare per misure sociali «popolari
e progressive» che sono direttamente opposte a quelle che il potere
proletario sempre, fin dal 1848 e dal Manifesto, si è prefisse.
6. Nulla mostrerà meglio
tutta la ignominia di una simile involuzione che un elenco di misure che,
quando si ponesse in avvenire, in un paese dell’Occidente capitalista, la
realizzazione della presa del potere, si dovrebbero formulare, al posto (dopo
un secolo) di quelle del Manifesto, incluse tuttavia le più caratteristiche di
quelle di allora.
7. Un elenco di tali
rivendicazioni è questo:
a) «Disinvestimento dei
capitali», ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni
strumentali e non di consumo.
b) «Elevamento dei costi
di produzione» per poter dare, fino a che vi è salario mercato e moneta, più
alte paghe per meno tempo di lavoro.
c) «Drastica riduzione
della giornata di lavoro» almeno alla metà delle ore attuali, assorbendo
disoccupazione e attività antisociali.
d) Ridotto il volume
della produzione con un piano «di sottoproduzione» che la concentri sui campi
più necessari, «controllo autoritario dei consumi» combattendo la moda
pubblicitaria di quelli inutili dannosi e voluttuari, e abolendo di forza le
attività volte alla propaganda di una psicologia reazionaria.
e) Rapida «rottura dei
limiti di azienda» con trasferimento di autorità non del personale ma delle
materie di lavoro, andando verso il nuovo piano di consumo.
f) «Rapida abolizione
della previdenza» a tipo mercantile per sostituirla con l’alimentazione sociale
dei non lavoratori fino ad un minimo iniziale.
g) «Arresto delle
costruzioni» di case e luoghi di lavoro intorno alle grandi città e anche alle
piccole, come avvio alla distribuzione uniforme della popolazione sulla
campagna. Riduzione dell’ingorgo velocità e volume del traffico vietando quello
inutile.
h) «Decisa lotta» con l’abolizione
delle carriere e titoli «contro la specializzazione» professionale e la
divisione sociale del lavoro.
i) Ovvie misure
immediate, più vicine a quelle politiche, per sottoporre allo Stato comunista
la scuola, la stampa, tutti i mezzi di diffusione, di informazione, e la rete
dello spettacolo e del divertimento.
8. Non è strano che gli
stalinisti e simili oggi richiedano tutto l’opposto, coi loro partiti di
Occidente, non solo nelle rivendicazioni «istituzionali» ossia politico-legali,
ma anche nelle «strutturali» ossia economico-sociali. Ciò consente la loro
azione in parallelo col partito che conduce lo Stato russo e i connessi, nei
quali il compito di trasformazione sociale è il passaggio da precapitalismo a
capitalismo pieno, con tutto il suo bagaglio di richieste ideologiche,
politiche, sociali ed economiche, tutte orientate allo zenit borghese; volte
con orrore solo contro il nadir feudale e medioevale. Tanto più sporchi
rinnegati questi sozii di Occidente, in quanto quel pericolo, fisico e reale
ancora dalla parte dell’Asia oggi in subbuglio, è inesistente e mentito per chi
guarda alla tronfia capitalarchia di oltreatlantico, per i proletariati che di
questa stanno sotto lo stivale civile, liberale e nazionunitario.
Partito comunista internazionale
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